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Ma non è così. Il puro concepimento non assicura successo riproduttivo. È il riuscire a far diventare i propri figli a loro volta genitori che garantisce la propagazione dei propri geni. La selezione parentale, pertanto, ha fatto sì che si tenti di massimizzare il benessere dei propri piccoli, che si punti ad avere figli sani, anche se pochi, piuttosto che tanti ma in cattiva salute. I genitori cercano, quindi, di far sopravvivere i propri figli, di assicurare loro uno sviluppo ottimale e di far sì che per lo meno raggiungano un’età che consenta loro di riprodursi.

Il cervello femminile è programmato in maniera tale da subire profondi cambiamenti durante la gravidanza: i neuroni diventano più grandi così da consentire una migliore comprensione degli stati emotivi del figlio [Ellison 2006] e, nel confronto con le emozioni espresse dai loro piccoli, si attivano nelle madri dei neuroni specchio in aree del cervello simili a quelle in cui si attivano i neuroni delle persone innamorate, neuroni che portano sia a un’identificazione empatica con quello che il figlio prova sia ad intervenire con prontezza per proteggerlo [Leckmann e Mayes 1999; Bartels e Zeki 2004].

L’amore per i figli. Proteggere e curare i propri piccoli assicura ai genitori il successo riproduttivo dato che la progenie porta le loro stesse caratteristiche. Si è, pertanto, selezionata ed è rimasta ancorata al nostro patrimonio genetico una serie di comportamenti ed emozioni che fanno parte di quello che viene definito «investimento parentale». Visto che quanti investivano di più nei propri figli ottenevano una maggiore diffusione delle loro caratteristiche genetiche, questa tendenza è divenuta parte dei nostri assetti mentali e comportamentali.