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Portarmi il pezzo. » Alzava più fortemente il labbro, nel suo sorriso frenato ma cosciente, nella sua circospezione senza viltà. «Ora li tengo in pugno» ha concluso quietamente. Al centro dell’officina (al centro della croce, perché è composta di quattro bracci: come la rosa dei venti si irradia nel giardino ai piedi della brulla collina), anche nel profondo del frastuono, entrano dai vetri la luce fresca del cielo e il verde vicino degli alberi. L’ambiente è così spazioso, che l’intrico dell’officina vi si allenta, e forse disorienta il visitatore il quale si trova fra le macchine, ma come al limitare di un prato, di un bosco.

Se dietro le fattezze di Antonio Donnarumma si nascondesse una delle metamorfosi di Calibano, giacesse l’irriducibile rifiuto della ragione che cova nell’inconscio del mostro da cui è turbato Prospero nella Tempesta di Shakespeare? Con la sordità di Calibano non c’è dialogo possibile, perché la sua forza gli viene proprio da coloro che vorrebbero dissolvere la sua sporca sragione con la pura ragione, ma riescono solo a renderlo mitologico come un ciclope o un dio: «Donnarumma invece, man mano che ingrandisce la lontananza fra noi e lui, e ci combattiamo a distanza, deve gonfiare in una esasperazione paranoica, nera: fa paura immaginarlo solo e accecato, denunciato, che tra di sé ribolle nella sua testa dura».

Qui giudichiamo un popolo intero. Gli eletti possono anche venir assunti nel nostro stabilimento, ma dove vanno i reprobi? Quando i giornali scrivono che la disoccupazione è un cancro, il male più grave che mina la società, bisogna sentirlo e vederlo per crederlo; essa butta all’aria, corrompe, ridicolizza tutti gli sforzi della ragione, di cui la psicotecnica è una delle ultime figlie. È un setaccio. Non si seleziona, si screma. Nei lunghi silenzi di stamani durante le monotone prove scritte, mi battevano in mente due frasi: è più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che uno di Santa Maria attraverso l’esame psicotecnico.